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#SiamorimastiacasaconlaRadio
Gabriele Villa, I2VGW


Scrivo queste righe mentre sono ancora sigillato in casa, come gran parte di tutti noi, dal lockdown impostoci per la pandemia. Non ho idea se, quando leggerete questo editoriale, saremo tutti o quasi, finalmente, anche se moderatamente liberi. Certo, non ci vuole la sfera di cristallo, per immaginare che sarà una libertà molto condizionata. Nei movimenti, nelle manifestazioni di giubilo e di entusiasmo, nello sport, nelle attività ludiche, nella vita sociale e sentimentale.

Nulla, purtroppo, questa è la mia convinzione, sarà più come prima. Non so francamente se bello o magari persino brutto come prima ma, sicuramente, non più come prima. Ne siamo tutti consapevoli.

Facevo e ho fatto più volte queste riflessioni nella stanza del mio shack mentre, di sera, di notte, volutamente immerso nel buio, guardavo le lucette accese dei miei tanti apparati, lasciando il volume al minimo, su frequenze differenti per tentare di creare una sorta di città della fantasia, brulicante di voci. Di vita. Una bellissima illusione della quale mi sono nutrito costantemente per non finire nel precipizio della noia, dello sconforto. Le radio mi hanno aiutato, dunque.

Come sono convinto che abbiano aiutato tutto il nostro scombiccherato popolo che ha fatto di antenne, valvole, e naturalmente di resistenze (mai come in questo caso nomen omen), la propria passione.

E se è vero che ho indugiato in qualche QSO, è anche vero che, per evitare di prendere, con il mio corrispondente, la deriva dei soliti drammatici e tristanzuoli discorsi di rigorosa attualità, ho preferito ascoltare. Ascoltare e ascoltare ancora.


Non solo quel brusìo di Vita, ma ascoltare i miei pensieri, il mio cuore, le mie emozioni. Le mie preoccupazioni, anche. Perché resto convinto che non bisogna aver paura di aver paura. E mi fa strano che, pur avendo attraversato e vissuto per il mio lavoro più di una situazione di pericolo, mentre in tutte quelle occasioni saltava fuori, come antidoto alla paura, una grande carica di adrenalina, al contrario, davanti a qualcosa di indefinibile e di intangibile come la pandemia, quella adrenalina non ci fosse.


E che l’unico antidoto fossero quelle riflessioni, quell’ascoltare me stesso davanti a quelle lucette accese e al VFO che ho continuato a girare per cercare altri segnali di Vita che mi facessero compagnia. Scegliendo di seguire le orme di La Rochefoucauld potrei scrivere che in questi tempi difficili è opportuno concedere la nostra amarezza con parsimonia, tanto numerose sono le occasioni per provarla.

E’ vero mi sono detto per più e più volte mentre ascoltavo, quasi rapito, voci che si confondevano ad ogni chilociclo. Occhieggiando, di tanto in tanto, quel diplomino (allora l’ARI lo rilasciava dandoti la “patente” di titolare di stazione d’ascolto) di SWL I1-14995, che era lì, come è sempre stato lì, appeso alla parete, per ricordarmi chi ero stato. Come se fossi stato un altro, in un altro mondo che la pandemia si è portato via inzuppandolo di hashtag. Quasi sembrasse che anche la scrittura, quella vera, senza hashtag, fosse stata spazzata via, perché in emergenza accetti anche l’assurdità del lessico e perché sei anche disposto ad essere indulgente verso la tenerezza di quel #andràtuttobene  che si è tradotto, alla fine, soltanto con la conta straziante delle vittime.

Così per ripartire, per riaccendere la voglia di tornare ad essere noi, magari anche meglio di quelli che eravamo prima, mi è venuto in mente questo editoriale e di titolarlo proprio con un hashtag. Per prenderci noi, come radioamatori, una rivincita d’orgoglio e di speranza e renderla pubblica. Guardare, ascoltare, riflettere. Perché la bellezza di queste sensazioni ci salverà comunque. Vaccino dell’anima prim’ancora che del corpo. Merito non nostro, intendiamoci. Non della tecnologia, del progresso o di quella scienza che si sono dovuti arrendere per cercare solo dopo di correre ai ripari.

Ma merito di Dio. Che c’è, anche solo perché ha permesso che sentimenti, sensazioni, armonia esistano. Qualcuno, come mi ricordava recentemente un amico che è anche un collega autorevole, ha scritto che per sapere quanto un uomo sia ricco occorre chiedergli quanta bellezza abbia vissuto.

Socchiudete gli occhi e pensateci. E ascoltate ciò che ci sta attorno, come mai ci è stata data occasione di ascoltare prima Noi, chi più chi meno, siamo ricchi abbastanza per resistere.

* Vicepresidente dell'ARI e Direttore di RadioRivista