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PostHeaderIcon Si può esercitare la stazione in un sottotetto non abitabile?

Buongiorno ai nostri cari lettori e ben ritrovati. Michele, IZ2FME si occupa in questo articolo di un caso molto particolare: è possibile esercitare la nostra stazione radioamatoriale in locali sprovvisti del certificato di agibilità/abitabilità? 73 cordiali dalla Vostra Redazione di RR e buona lettura.

DOMANDA: Buongiorno Collega, siamo Colleghi due volte: sia come avvocati, sia come radioamatori! Il problema è che io ho esercitato per 42 anni (ora sono in pensione) in tutt’altra materia rispetto a quella della quale Tu sei riconosciuto come validissimo esperto. Il mio quesito è il seguente (non so se possa essere giudicato interessante anche per altri radioamatori e quindi se possa essere oggetto di pubblicazione): sono proprietario, in un Comune lombardo, di un sottotetto non abitabile, attualmente da me utilizzato come deposito; trattasi quindi di una soffitta (peraltro piuttosto grande). La mia residenza anagrafica, coincidente con la mia dimora abituale e con il mio domicilio, si trova nello stesso Comune a una distanza di circa 400 metri. Vorrei sapere, avendo io l’intenzione di installare la mia stazione radioamatoriale in detto sottotetto, se la normativa che attribuisce al radioamatore il diritto di antenna, si possa applicare anche al mio caso, al caso cioè di chi è comproprietario (all’ interno del condominio) di una unità immobiliare non abitativa, ossia sprovvista del certificato di agibilità/abitabilità. Ti ringrazio in anticipo e Ti faccio i miei complimenti per la Tua preparazione giuridica in siffatta non semplice materia.

RISPOSTA: Caro amico, Ti ringrazio per i Tuoi (immeritati!) complimenti che, fatti da un Collega Avvocato, mi fanno ancor più piacere. Ci siamo già scambiati qualche mail e quindi conosci già il mio pensiero al riguardo; ritengo utile, tuttavia, affrontare l’argomento anche su RadioRivista, perché potrebbe interessare anche altri radioamatori.

Partiamo dal dato normativo. L’art. 24, commi 1, 2 e 3 del Testo Unico (T.U.) dell’Edilizia (D.P.R. n. 380/2001), prevede che «1. La sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, e, ove previsto, di rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale […], nonché la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata. 2. Ai fini dell’agibilità, entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, […], presenta allo sportello unico per l’edilizia la segnalazione certificata, per i seguenti interventi: a) nuove costruzioni; b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1. 3. La mancata presentazione della segnalazione, nei casi indicati al comma 2, comporta l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 77 a euro 464».

Quindi, a differenza di quanto avveniva in passato quando l’agibilità/abitabilità veniva attestata previo sopralluogo da parte di funzionari della Pubblica Amministrazione, oggigiorno il procedimento è “semplificato” (vedi il mio articolo su RadioRivista 01/2025), poiché si struttura di fatto sul meccanismo del “silenzio/assenso”. Ciò non impedisce, comunque, al Comune di esercitare in ogni tempo i suoi poteri di vigilanza e di dichiarare inagibile il bene, qualora esso si trovi in uno stato di non salubrità, per esempio, ovvero se venissero riscontrati gravi abusi edilizi.

Il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce sia stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in varie materie edilizie, come ad esempio la sicurezza, la salubrità, l’igiene, il risparmio energetico degli edifici e degli impianti, ecc., anche se la disposizione di legge, come si è visto, si riferisce piuttosto alla conformità dell’opera al progetto presentato (Consiglio di Stato, parere n. 12/2023).

La giurisprudenza amministrativa ha affermato più volte che uno dei fondamentali presupposti per l’ottenimento di questo certificato sia proprio la conformità del bene alle previsioni urbanistiche nazionali e locali; infatti non è possibile legittimamente rilasciare un certificato di agibilità se non sussiste la conformità ai parametri normativi di carattere urbanistico e/o edilizio (Consiglio di Stato n. 2461/2023, n. 180/2023).

Venendo al tuo caso, da quanto ho potuto comprendere, il sottotetto all’interno del quale vorresti installare la stazione non è abusivo, nel senso che è stato a suo tempo autorizzato dal Comune con il rilascio di un valido ed efficace titolo edilizio, ma non possiede le caratteristiche di altezza, rapporti aeroilluminanti, ecc. tali da consentire l’acquisizione della agibilità. Occorre allora domandarsi, in via generale, se si possa “abitare” – nel senso di “utilizzare” – un bene immobile sprovvisto dell’agibilità.

Prima dell’entrata in vigore del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. n. 380/2001), la risposta era (semi)affermativa, ma per niente “indolore”. Infatti, l’art. 221, primo comma del Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265 («Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie») prevede testualmente, che «gli edifici o parti di essi indicati nell’articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà [ora Pubblica Amministrazione], il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità». Il secondo comma della medesima disposizione di legge stabiliva che il trasgressore fosse punito con un’ammenda.

Ebbene: l’art. 70, comma 1, lettera b) del D. Lgs. n. 507/1999, aveva previsto che «Il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 è così modificato: […] b) nel secondo comma dell’articolo 221 le parole “è punito con l’ammenda da lire 40.000 a 400.000” sono sostituite dalle seguenti: “è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire centocinquantamila a novecentomila”. Dunque, prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 380/2001, era di fatto “possibile” (con qualche “se”) abitare una casa priva dell’agibilità, ma esponeva l’abitante al rischio di esser destinatario di una sanzione amministrativa.

Alla fine, l’art. 136, comma 2, lett. a) del D.P.R. n. 380/2001 ha espressamente abrogato il secondo comma dell’art. 221 del citato Regio Decreto, e pertanto, allo stato attuale, abitare un bene sprovvisto dell’agibilità non integra più né un reato, né un illecito amministrativo. Ciò non toglie che l’Ente Comunale, nell’esercizio del potere/dovere di vigilanza nell’ambito delle proprie competenze in materia di urbanistica ed edilizia, possa dichiarare l’immobile inagibile, con l’adozione di un provvedimento espresso, e ordinare al malcapitato di “sloggiare” (art. 26 del T.U. dell’Edilizia: «la presentazione della segnalazione certificata di agibilità non impedisce l’esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell’articolo 222 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265»).

Ma, e torniamo al punto, quest’ordine potrebbe riguardare anche il caso che tu mi hai sottoposto? Sta a dire: utilizzare sporadicamente un sottotetto non agibile per le nostre attività radioamatoriali, significa “abitarlo”? Non si rinvengono precedenti giurisprudenziali in termini, ma a un’interpretazione letterale, risponderei di sì, perché se si cerca nel dizionario della lingua italiana il verbo “abitare”, si scopre che significa “vivere, alloggiare in un luogo da soli o con qualcuno”. E in questo senso tu utilizzeresti il sottotetto come “alloggio”, ancorché temporaneo e per le finalità di cui al T.U. delle Comunicazioni Elettroniche, dal che potrebbe derivare un inammissibile cambio di destinazione d’uso del bene (ancorché realizzata “senza opere”: attenzione, in questo caso, alle sanzioni penali ex art. 44 del T.U. dell’Edilizia!).

Diverso sarebbe, invece, il caso in cui il sottotetto venisse utilizzato quale mero deposito di materiale, il che non presuppone la permanenza delle persone in un luogo potenzialmente insalubre, perché ad esempio non dotato dell’impianto di riscaldamento, o dei requisiti aeroilluminanti di legge (a tale proposito si veda quanto previsto dal D.M. 5 luglio 1975, in materia dei requisiti igienico-sanitari delle abitazioni, in G.U. 18 luglio 1975, n. 190). Quindi, per concludere, in punto di mero diritto io sono del parere che non sia ammissibile installare una nostra stazione in un locale sprovvisto dell’agibilità.

E ciò anche in considerazione del fatto che l’art. 12, comma 1, dell’Allegato 26 al T.U. delle Comunicazioni Elettroniche prevede che «l’esercizio della stazione di radioamatore deve essere svolto in conformità delle norme legislative e regolamentari vigenti e con l’osservanza delle prescrizioni contenute nel regolamento internazionale delle radiocomunicazioni». Il fatto, poi, che l’art. 138, comma 1, lettera b) dello stesso T.U. stabilisca che la dichiarazione di cui all’art. 107, commi 5, 9, e 10, riguardi «l’indicazione delle sedi degli impianti» (al plurale: modifica introdotta con il D. Lgs. n. 48/2024), non mi pare rilevante, perché ciò è possibile ma sul presupposto che, a livello urbanistico ed edilizio, quelle “sedi” siano effettivamente idonee e rispettose dei precetti di legge.

Quindi, per concludere, la morale di tutta questa storia è che nel nostro ordinamento giuridico uno spazio “praticabile” non significa necessariamente che sia anche “abitabile”, nel senso proprio del termine. Infatti una superficie, un solaio o, più in generale, un volume si può definire praticabile quando ne sia consentito un utilizzo soltanto sporadico e saltuario, ed esclusivamente per finalità di ispezione o controllo, ovvero per il deposito di beni a mo’ di magazzino.

Spero di averti risposto in modo esaustivo: cari saluti e 73 cordialissimi

Avv. Michele Carlone, IZ2FME